Ho sentito diverse affermazioni incredibili nel
dibattito.
Il primo: con questa stabilizzazione finirà il
precariato. Ricordo che il precariato
doveva finire nel 2012 dopo l’ultima stabilizzazione, mentre oggi ne abbiamo un’altra.
Oggi si fa il fabbisogno che, temo, non sarà capace di risolvere nulla, essendo
tarato sulla situazione attuale. E la riduzione di questi anni, quindi i numeri
di oggi, non sono certo tarati sulle effettive necessità ma sui pensionamenti
fatti forzatamente o meno negli ultimi 5 anni. Resta la possibilità di
contratti e convenzioni che costituiscono assunzioni a tutti gli effetti e che
poi in qualche modo nel tempo andranno sistemati.
Inoltre la logica è sempre la stessa, lo si fede dal fabbisogno:
le persone che hanno PDR che non servono alla PA restano in organico senza di
fatto ruoli, mentre se ci sono PDR mancanti si procede a nuove assunzioni. La
logica è sempre quella di una macchina ingessata, tarata sull’organizzazione e
non sull’utenza, non gestita con criteri manageriali.
L’altra affermazione è stata che si è ridotta la spesa
e il numero di dipendenti senza toccare i servizi. Forse sulla carta, perché se
fossimo un Paese capace di valutare davvero le cose e coinvolgendo l’utenza e
certificandone la soddisfazione, allora credo che certe panzane che si dicono
qua in aula sarebbero facilmente smentite. Poi su questo qualcosa dirò.
Si è parlato di riduzione della spesa e di politiche
di contenimento del Governo. Lavoro del team spending review, che poteva
davvero portare ad una revisione della spesa, è stato disatteso e gli effetti
sul bilancio si vedono e temo si vedranno nel prossimo, finite le una tantum
Infine i concorsi, che oramai sono una utopia visto
che si sta imponendo una forma di selezione molto più discrezionale, quello appunto
dei bandi di selezione, dove le Commissioni sono talvolta persino composte da
personale politico. Non sono questi i concorsi e voi lo sapete bene.
Inutile fare tanti discorsi sulla forza e sulla
bravura dei dipendenti se non si inseriscono i criteri per premiare chi davvero
lavora. Perché come dice la Michelotti i servizi devono funzionare, e se
funzionano si può anche spendere qualcosa di più, da recuperare altrove.
Fissare gli obiettivi, valutarne i parametri per certificarne il raggiungimento,
premiare dirigenti e dipendenti che li raggiungono, penalizzare finanche
licenziare chi non contribuisce a raggiungere gli obiettivi, come avviene nel
settore privato: questo renderebbe efficiente la PA, superando discorsi basati
sull’anzianità che continuano invece a essere la stella polare di ogni
provvedimento e di ogni stabilizzazione, continuando a ingessare il meccanismo
anche per il permanere di un modello improntato alla infinita trattativa coi
sindacati su ogni cosa, che non rende certo efficiente il modello.
Ho sentito molti discorsi e soprattutto molti impropri
paragoni fra PA e privato. Ad oggi sono 2 mondi completamente separati.
Il settore privato vive sul mercato, deve
costantemente confrontarsi con la clientela e soddisfarla, essere efficiente e
contenere al massimo i costi, avere dipendenti preparati e capaci di far
crescere l’impresa, dirigenti dinamici e capaci di raggiungere gli obiettivi. I
dipendenti, peraltro, è vero che sulla carta sono stabilizzati dopo 18 mesi, ma
sapete benissimo che pochi arrivano a questo periodo, la gran parte viene
licenziato prima perché le leggi lo consentono e il mercato spesso è spietato.
La PA di oggi è burocratica, ingessata, dove tutto va
normato e fatto oggetto di trattativa sindacale, dove se lavori o non lavori
cambia poco, dove se non servi rimani comunque al tuo posto, dove i dirigenti
non hanno poteri concreti di gestione del proprio servizio per farlo funzionare
meglio, dove il dipendente non ha veri incentivi a lavorare al meglio delle
proprie possibilità perché tanto se anche lo fa non cambia niente perché si va
avanti solo per anzianità, dove gli obiettivi non ci sono e se anche ci sono
sono completamente generici, dove la soddisfazione dell’utenza non conta più di
tanto nella valutazione, dove la conferma o la rimozione di un dirigente
avviene per motivi politici e non perché si fa funzionare bene o male un
servizio.
E come ha detto il mio collega Santi, se non si
inseriscono meccanismi di fissazione preliminare degli obiettivi e di
valutazione del raggiungimento degli stessi anche coinvolgendo l’utenza per
capirne la soddisfazione, o prevedendo parametri numerici e misurabili di
valutazione dove l’utenza non si può coinvolgere, qui in CGG potremo continuare
a cantarcela e a suonarcela da soli, senza mai migliorare concretamente la PA.
Parte
che non ho fatto in tempo a leggere
Se non si dà ai dirigenti autonomia operativa per
gestire in termini di personale, budget e organizzazione il proprio ufficio per
raggiungere gli obiettivi che sono a lui assegnati, prevedendone la rimozione
in caso di non raggiungimento, non si creeranno mai meccanismi manageriali.
Se non si supera la valutazione discrezionale politica
di oggi, dove il Governo ha ancora potere di rimozione dei dirigenti e dove la
DGFP è nominata direttamente dal Governo, non riusciremo mai a cambiare il
meccanismo.
Nell’ambito degli obiettivi fissati per l’ufficio, se
non si creano meccanismi capaci di premiare davvero i dipendenti che lavorano,
anche economicamente, superando il concetto di anzianità, e di penalizzare chi
non lavora anche allontanandolo dal servizio, non si creerà mai efficienza e
meritocrazia.
Se non si crea una normativa sulle regole del rapporto
di lavoro comune fra pubblico e privato, con un contratto unico, ci saranno
sempre le differenze di oggi che creano un inaccettabile scontro sociale.
La chiave è qui, è qui che bisogna intervenire con una
vera riforma. Non era per fare queste riforme che è stata immaginata la
coalizione fra i partiti più rappresentativi? In 4 anni non avete nemmeno
immaginato queste cose, che invece sono le riforme che davvero danno le gambe
ad un paese funzionale.