INTERVENTO SU FABBISOGNO PA E STABILIZZAZIONE - 23_5_16





Ho sentito diverse affermazioni incredibili nel dibattito.


Il primo: con questa stabilizzazione finirà il precariato. Ricordo che  il precariato doveva finire nel 2012 dopo l’ultima stabilizzazione, mentre oggi ne abbiamo un’altra. Oggi si fa il fabbisogno che, temo, non sarà capace di risolvere nulla, essendo tarato sulla situazione attuale. E la riduzione di questi anni, quindi i numeri di oggi, non sono certo tarati sulle effettive necessità ma sui pensionamenti fatti forzatamente o meno negli ultimi 5 anni. Resta la possibilità di contratti e convenzioni che costituiscono assunzioni a tutti gli effetti e che poi in qualche modo nel tempo andranno sistemati.


Inoltre la logica è sempre la stessa, lo si fede dal fabbisogno: le persone che hanno PDR che non servono alla PA restano in organico senza di fatto ruoli, mentre se ci sono PDR mancanti si procede a nuove assunzioni. La logica è sempre quella di una macchina ingessata, tarata sull’organizzazione e non sull’utenza, non gestita con criteri manageriali.


L’altra affermazione è stata che si è ridotta la spesa e il numero di dipendenti senza toccare i servizi. Forse sulla carta, perché se fossimo un Paese capace di valutare davvero le cose e coinvolgendo l’utenza e certificandone la soddisfazione, allora credo che certe panzane che si dicono qua in aula sarebbero facilmente smentite. Poi su questo qualcosa dirò.


Si è parlato di riduzione della spesa e di politiche di contenimento del Governo. Lavoro del team spending review, che poteva davvero portare ad una revisione della spesa, è stato disatteso e gli effetti sul bilancio si vedono e temo si vedranno nel prossimo, finite le una tantum


Infine i concorsi, che oramai sono una utopia visto che si sta imponendo una forma di selezione molto più discrezionale, quello appunto dei bandi di selezione, dove le Commissioni sono talvolta persino composte da personale politico. Non sono questi i concorsi e voi lo sapete bene.


Inutile fare tanti discorsi sulla forza e sulla bravura dei dipendenti se non si inseriscono i criteri per premiare chi davvero lavora. Perché come dice la Michelotti i servizi devono funzionare, e se funzionano si può anche spendere qualcosa di più, da recuperare altrove. Fissare gli obiettivi, valutarne i parametri per certificarne il raggiungimento, premiare dirigenti e dipendenti che li raggiungono, penalizzare finanche licenziare chi non contribuisce a raggiungere gli obiettivi, come avviene nel settore privato: questo renderebbe efficiente la PA, superando discorsi basati sull’anzianità che continuano invece a essere la stella polare di ogni provvedimento e di ogni stabilizzazione, continuando a ingessare il meccanismo anche per il permanere di un modello improntato alla infinita trattativa coi sindacati su ogni cosa, che non rende certo efficiente il modello.


Ho sentito molti discorsi e soprattutto molti impropri paragoni fra PA e privato. Ad oggi sono 2 mondi completamente separati.


Il settore privato vive sul mercato, deve costantemente confrontarsi con la clientela e soddisfarla, essere efficiente e contenere al massimo i costi, avere dipendenti preparati e capaci di far crescere l’impresa, dirigenti dinamici e capaci di raggiungere gli obiettivi. I dipendenti, peraltro, è vero che sulla carta sono stabilizzati dopo 18 mesi, ma sapete benissimo che pochi arrivano a questo periodo, la gran parte viene licenziato prima perché le leggi lo consentono e il mercato spesso è spietato.


La PA di oggi è burocratica, ingessata, dove tutto va normato e fatto oggetto di trattativa sindacale, dove se lavori o non lavori cambia poco, dove se non servi rimani comunque al tuo posto, dove i dirigenti non hanno poteri concreti di gestione del proprio servizio per farlo funzionare meglio, dove il dipendente non ha veri incentivi a lavorare al meglio delle proprie possibilità perché tanto se anche lo fa non cambia niente perché si va avanti solo per anzianità, dove gli obiettivi non ci sono e se anche ci sono sono completamente generici, dove la soddisfazione dell’utenza non conta più di tanto nella valutazione, dove la conferma o la rimozione di un dirigente avviene per motivi politici e non perché si fa funzionare bene o male un servizio.


E come ha detto il mio collega Santi, se non si inseriscono meccanismi di fissazione preliminare degli obiettivi e di valutazione del raggiungimento degli stessi anche coinvolgendo l’utenza per capirne la soddisfazione, o prevedendo parametri numerici e misurabili di valutazione dove l’utenza non si può coinvolgere, qui in CGG potremo continuare a cantarcela e a suonarcela da soli, senza mai migliorare concretamente la PA.



Parte che non ho fatto in tempo a leggere

Se non si dà ai dirigenti autonomia operativa per gestire in termini di personale, budget e organizzazione il proprio ufficio per raggiungere gli obiettivi che sono a lui assegnati, prevedendone la rimozione in caso di non raggiungimento, non si creeranno mai meccanismi manageriali.


Se non si supera la valutazione discrezionale politica di oggi, dove il Governo ha ancora potere di rimozione dei dirigenti e dove la DGFP è nominata direttamente dal Governo, non riusciremo mai a cambiare il meccanismo.


Nell’ambito degli obiettivi fissati per l’ufficio, se non si creano meccanismi capaci di premiare davvero i dipendenti che lavorano, anche economicamente, superando il concetto di anzianità, e di penalizzare chi non lavora anche allontanandolo dal servizio, non si creerà mai efficienza e meritocrazia.


Se non si crea una normativa sulle regole del rapporto di lavoro comune fra pubblico e privato, con un contratto unico, ci saranno sempre le differenze di oggi che creano un inaccettabile scontro sociale.


La chiave è qui, è qui che bisogna intervenire con una vera riforma. Non era per fare queste riforme che è stata immaginata la coalizione fra i partiti più rappresentativi? In 4 anni non avete nemmeno immaginato queste cose, che invece sono le riforme che davvero danno le gambe ad un paese funzionale.