UNA FLEX-SECURITY PER SAN MARINO...


Il primo tema che voglio analizzare è quello della riforma delle regole che disciplinano il lavoro. Tema a cui il Segretario Mussoni ha annunciato di stare lavorando, per giungere ad una riforma strutturale.
Ci sono molte cose che non vanno nelle regole che disciplinano il lavoro, e quindi una riforma certamente occorre. Il punto è che non si può studiare una riforma che sia solo pro imprese, come è avvenuto invece col Decreto Mussoni che ha demolito diverse tutele, creato nuovi contratti sottopagati x i giovani e allargato le maglie delle assunzioni di frontalieri senza fare sforzi per potenziare gli ammortizzatori sociali. Questo non è riformare, è parteggiare; e ogni riforma che non abbia equilibrio è destinata a fallire, a creare problemi sociali e nelle aziende ed in ultima analisi a ridurre produttività e competitività.

Qual'è allora il modello per una futura riforma? A mio parere L'UNICO MODELLO CHE OGGI GARANTISCE UN EQUILIBRIO SODDISFACENTE FRA ESIGENZE DI IMPRESE E LAVORATORI È QUELLO DELLA FLEX SECURITY DI STAMPO DANESE.
In estrema sintesi, è un modello dove non si protegge più il posto di lavoro, ma il reddito del lavoratore. Le imprese hanno massima flessibilità in entrata e in uscita, possono assumere e licenziare liberamente al variare del ciclo economico; i lavoratori licenziati sono protetti dagli ammortizzatori sociali (in Danimarca fino a 4 anni), con percentuali decrescenti; l'impresa paga una parte di questi costi per gli ammortizzatori, e più licenzia più paga; esistono servizi per favorire la ricerca di una nuova occupazione, finanziati anche dalle imprese (che quindi, anche qui, più licenziano e più pagano). Le imprese guadagnano competitività e capacità di reagire prontamente alle dinamiche di mercato, i lavoratori sono comunque protetti da ammortizzatori sociali forti e, se perdono il lavoro, ne ritrovano velocemente un altro.

COME SI POTREBBE DECLINARE A SAN MARINO UN MODELLO DI FLEX SECURITY?

1) eliminazione della moltitudine di contratti di lavoro oggi esistenti (tempo determinato, stage, tirocini, distacchi, co.co.pro., interinale, contratto in formazione, in addestramento, ecc...) che creano solo confusione, differenze e precariato;

2) un solo contratto possibile, a tempo indeterminato, ma con possibilità di licenziare liberamente per motivi economici o organizzativi (es:crisi di mercato, cambiamenti organizzativi interni, semplice volontà di ridurre i costi, ecc...);

3) il contratto a tempo indeterminato ha un periodo di prova di 2 mesi (che funzionerebbe come oggi, con possibilità di non assumere il lavoratore che non si dimostri adeguato) e un periodo di formazione/inserimento/apprendistato di 12 mesi, durante i quali si gode di un salario un po' ridotto ma con lo stesso diritto agli ammortizzatori sociali degli altri lavoratori occupati;

4) il ricollocamento dei lavoratori licenziati avviene tramite la costituzione di un "ente bilaterale" Stato-imprese, finanziato per il 50% dallo Stato e per l'altro 50% dalle imprese (prevedendo che più un impresa ha licenziato nell'anno precedente e più paga nell'anno successivo per finanziare l'ente). L'ente (di diritto privato, in modo che possa essere più efficiente, e con personale pagato in base ai risultati che ottiene in termini di tasso di occupazione e disoccupazione) prende in carico il lavoratore licenziato e ogni lavoratore disoccupato in genere e prevede per lui/lei una serie di attività formative e di lavoro atte a facilitare e favorire una nuova rapida collocazione. Più il processo è veloce, meno costa: le imprese, che pagano parte dei costi, hanno interesse a che tutto sia rapido e quindi assumono velocemente.

5) la tutela data dagli ammortizzatori sociali è crescente in base al crescere del periodo lavorato, con un salario di cittadinanza minimo (al di sotto del quale non si può scendere) fruibile per chiunque sia alla ricerca di un posto di lavoro. Gli ammortizzatori coprono al 90% del reddito per il primo anno, e all’80% per il secondo anno, al 70% per il terzo anno, poi scatta il salario di cittadinanza. Qui sotto la struttura che ne verrebbe fuori:
·           nessun periodo di lavoro = solo salario di cittadinanza;
·           fino a 1 anno di lavoro prima del licenziamento = indennità di disoccupazione al 90% dello stipendio per 6 mesi poi salario di cittadinanza;
·           da 1 anno a 2 anni di lavoro prima del licenziamento = indennità di disoccupazione al 90% per 1 anno, poi salario di cittadinanza;
·           da 2 a 3 anni di lavoro prima del licenziamento = indennità di disoccupazione al 90% per 1 anno, e all’85% per altri 6 mesi, poi salario di cittadinanza;
·           da 3 a 4 anni di lavoro prima del licenziamento = indennità di disoccupazione al 90% per 1 anno, e all’80% per 1 altro anno, poi salario di cittadinanza;
·           da 4 a 5 anni di lavoro prima del licenziamento = indennità di disoccupazione al 90% per 1 anno, all’80% per 1 anno e al 70% per 6 mesi, poi salario di cittadinanza;
·           oltre 5 anni di lavoro = indennità di disoccupazione al 90% per 1 anno, all’80% per 1 anno e al 70% per 1 anno, poi salario di cittadinanza.
Il salario di cittadinanza deve essere pari al 50% del reddito medio dei lavoratori dipendenti e indipendenti, e ovviamente va pagato solo ai sammarinesi e residenti.

6)   la Cassa integrazione va mantenuta solo per periodi brevissimi (max 1 mese in un anno), per il resto va abolita. È un ammortizzatore sociale che non ha più senso, perché tende a proteggere il posto di lavoro (evitando il licenziamento) e non il reddito del lavoratore. Con la nuova struttura, in caso di calo duraturo della produzione, il datore di lavoro licenzia e poi eventualmente riassume quando la produzione ricresce. Vanno invece incentivati i contratti di solidarietà, se possibile, per rispondere ai cali di produzione.

7)   Il finanziamento degli ammortizzatori sociali, reddito di cittadinanza compreso, avviene:
  • Con le aliquote di oggi (per ogni dipendente: 1,9% del reddito a carico del datore di lavoro, 0,5% a carico del lavoratore), tenendo conto che questi versamenti saranno molto meno assorbiti dalla Cassa Integrazione (che oggi porta via tantissime risorse) e quindi potranno essere maggiormente destinati all’indennità di disoccupazione e al reddito di cittadinanza;
  • Con un contributo aggiuntivo da parte delle imprese pari al 7% del reddito annuo del lavoratore, per ogni lavoratore licenziato e da pagarsi ogni anno fintanto che il lavoratore non trova una nuova occupazione;
  • Con un'indennità di licenziamento a carico dell'impresa, pari a 6 mesi di retribuzione, per ogni lavoratore licenziato per motivi economici e organizzativi;  
  • Con la fiscalità generale.

8)   La fruizione degli ammortizzatori sociali e del reddito di cittadinanza è riservata ai lavoratori licenziati o in cerca di primo impiego che siano effettivamente alla ricerca attiva di un posto di lavoro. Il lavoratore licenziato o disoccupato verrà indirizzato dall’ente bilaterale di cui al punto 4 verso nuove attività formative o verso nuovi impieghi, sulla base delle norme già oggi in vigore; potrà opporre al massimo 1 rifiuto (e in quel caso si vedrà abbassata del 50% l’indennità che sta percependo), al 2° rifiuto perderà l’erogazione dell’ammortizzatore sociale;

9)   Possono continuare a esistere solo alcuni ulteriori contratti di lavoro specifici per esigenze particolari, come ad esempio il lavoro occasionale regolato dal Decreto 147/2009. Devono però essere molto limitati come tipologie e applicabilità.

Naturalmente rimangono aperti problemi specifici (accesso al part-time, tutela della maternità, flessibilità di orario, inserimento lavoratori disabili, ecc…) che necessitano di soluzioni specifiche.
Ma quelle che ho presentato sono a mio parere le linee generali di una riforma che cambierebbe radicalmente il nostro modello di mercato del lavoro.

E COME FARE CON I FRONTALIERI?
 
Tutto quanto sopra delineato è un modello generale che vale per ogni lavoratore impiegato a San Marino, frontalieri compresi (va ovviamente esclusa l’applicazione del reddito di cittadinanza, che per ovvie ragioni non può valere per i frontalieri).
Ma naturalmente deve rimanere ben salda la tutela del mercato interno (sammarinesi e residenti) sia in entrata che in uscita.
In entrata già oggi la legge prevede che prima di assumere un frontaliere occorra verificare la presenza nelle liste di sammarinesi o residenti. La norma vale in teoria, nella realtà è largamente inapplicata dalla Commissione per il Lavoro (dove sindacati e industriali sono in maggioranza e quasi sempre d’accordo nel far entrare frontalieri anche dove potrebbero esserci sammarinesi).
In uscita il Decreto Mussoni (in una delle sue poche buone norme) ha previsto che in caso di riduzioni di personale si proceda prioritariamente ad allontanare i lavoratori frontalieri, e solo poi i sammarinesi e i residenti, prima non esisteva alcuna tutela per questi ultimi. La norma è quindi recente, dirà il tempo se sarà rispettata.

Tre piccole soluzioni per far si che la norma che prevede già oggi la tutela in entrata sia applicata sul serio:

1)      l’Ufficio del Lavoro deve essere presente ai colloqui di lavoro con un proprio ispettore. Spesso accade che l’Ufficio invii sammarinesi o residenti (magari in mobilità) per dei colloqui, e che il colloquio si concluda senza che domanda e offerta si incontrino. Di chi è la colpa? Del datore di lavoro che fa di tutto per non assumere un sammarinese in modo da poter assumere un frontaliere? O del lavoratore che non ha così voglia di lavorare? Oggi è difficile da verificare. Con la presenza di un ispettore dell’Ufficio, non lo sarebbe più. Se è il datore di lavoro che mente, non gli deve essere concesso alcun frontaliere; se è il lavoratore che non ha voglia, gli va tolto qualunque ammortizzatore sociale stia percependo.

2)      L’Ufficio del Lavoro deve verificare, ex post, se il frontaliere assunto ha davvero le qualifiche che all’interno mancavano. Spesso i datori di lavoro chiedono professionalità che all’interno non sono disponibili, e per questo hanno il permesso di assumere frontalieri. Ad esempio: una persona che sappia molte lingue contemporaneamente. È giusto a mio parere che ci sia qualcuno che verifichi se il lavoratore frontaliere assunto abbia davvero quelle professionalità (nel nostro esempio, sappia davvero queste lingue) o se la richiesta di quelle professionalità fosse fittizia, un modo per non assumere lavoratori interni. In quest’ultimo caso occorre una pesante sanzione per il datore di lavoro.

3)      I lavoratori frontalieri assunti perché in possesso di professionalità non presenti all’interno devono essere inquadrati ad un livello adeguato. Non è possibile che si chieda esperienza, conoscenze, ecc…e poi si assuma il lavoratore frontaliere al 1° livello, come invece spessissimo succede: questo è un evidente abuso. L’esperienza e la professionalità si paga!